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:: LINGUAGGI JAZZ 2004 ::

Sabato 14 febbraio - Piccolo Regio Puccini ore 21

STEFANO BOLLANI SMÅT SMÅT
Stefano Bollani, pianoforte


Stefano Bollani

Da promessa di indubbio talento, Stefano Bollani è diventato in pochi anni uno dei jazzisti italiani di maggior spessore. Se ne sono accorti anche in Giappone, dove la più autorevole pubblicazione jazz di quel Paese, Swing Journal, gli ha conferito il New Star Award, per la prima volta attribuito a un musicista europeo. In Francia è stato pubblicato nel 2002 dalla prestigiosa Label Bleu, e salutato con grande favore, Les Fleurs Bleues, un omaggio all'opera dello scrittore Raymond Quenau condivisa con gli americani Scott Colley e Clarence Penn. In Italia, invece, è di fresca consegna il napoletano Premio Carosone, solitamente destinato a cantanti.
Rapide sono le tappe dell'ascesa del pianista milanese, ma toscano di adozione, dall'affermazione appena ventenne al concorso di Prato alla direzione dell'Orchestra del Titanic e all'importante militanza, tuttora attiva, negli organici del suo mentore Enrico Rava. Lo ascoltò per la prima volta a Firenze quando aveva tredici anni, ritrovandosi a suonare con lui dieci anni dopo, nel 1995: "Da allora mi ha coinvolto al pianoforte nei progetti più disparati, non facendomi mai pesare la differenza di età e di esperienza".
Nel maggio del 2003 Stefano è tornato a incidere, stavolta da solo, in un studio di Montevarchi ricavato da una vecchia fabbrica di sementi dove si registra musica rinascimentale e barocca, un nuovo lavoro per la Label Bleu. Il compact, come lo spettacolo che presenterà a Torino, è intitolato Småt Småt, che in danese significa "piccolo piccolo". "Ho scelto il titolo perché mi piaceva il suono della parola. E poi perché ho registrato l'album da solo e tutti i pezzi sono di breve durata, delle specie di miniature: è dunque un disco piccolo piccolo".
Ma non ci si deve attendere nulla di riduttivo da queste premesse. Småt Småt, sia pure in sedicesimo, si configura come un vero e proprio autoritratto, in cui l'artista recepisce e personalizza gli influssi di "altre musiche", dalla classica al rock al pop.
Contiene brani di Zappa e dei Beatles, di Monk e di autori argentini e brasiliani (tra cui il dimenticato Adoniran Barbosa di "Trem das onze", tradotto da Riccardo del Turco come "Figlio Unico") e persino il tema di Prokofiev da "Pierino e il Lupo".
È il gusto a guidare le sue scelte, e l'imprevedibilità fa parte del suo modus operandi: "Sono il primo a non volermi annoiare ai miei concerti o quando ascolto i miei dischi. Nel jazz, il rischio della noia, della ripetitività, è assai reale. Ecco perché si finisce a cercare stimoli e ispirazioni in musiche vicine". Si tratta di vicinanze a cui Stefano non è refrattario: sono note le collaborazioni con Jovanotti e Irene Grandi, e un paio di suoi interventi vocali (è un esilarante emulo di Johnny Dorelli) hanno fatto la comparsa in un album di Elio e le Storie Tese. "Non sono interessato ad avere un pubblico formato solo da jazzofili, che mi fanno le pulci e mi spiegano a quale pianista faccio riferimento, o a quale disco mi ispiro. Preferisco uno che mi dica: mi è piaciuto, ho pianto, ho riso, gente che la pensa come me. È per questo pubblico che mi piace suonare".


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