Ci si può attendere qualcosa di "normale" da
una ragazza di famiglia svizzera tedesca cresciuta a San Francisco
nei sixties, baciata dalla cultura Love & Peace e pizzicata dalle
provocazioni di Frank Zappa (che tuttora cita regolarmente come influenza
decisiva, insieme con la bubble-gum music e i Monkees)? Immaginate
un Randy Newman investito da un'autocisterna di Lsd, o Beth Gibbons
dei Portishead che improvvisamente opta per una dieta a base di canzoni
di Bertolt Brecht virate al lounge, e forse potete cominciare ad inquadrare
il "caso" Erika Stucky.
Negli anni Settanta i genitori di Erika riportano la figlia in patria, nel villaggio
alpino di Mörel, dove prosperano il folklore delle baite, lo yodel e le
albicocche. Invece di trasformarsi in Heidi, Erika se ne va a Parigi. Mentre
studia recitazione, coltiva l'intenzione di diventare una cantante jazz professionista.
A metà degli Ottanta si ritrova in un gruppo, i Sophisticrats, costituito
da quattro cantanti donne e un bassista (Marco Raoult, suo futuro marito). Produce
un paio di dischi e crea Bubble Town, progetto musicale che propone in centinaia
di città ma che rappresenta una "sua" città, schizzata
e immaginaria. Inevitabilmente, a questo punto Frau Stucky-Raoult diventa Mrs.
Bubble.
Nel 1997, a Leningrado, in alleanza con gli eminenti trombonisti Ray Anderson
e Art Baron (e il suonatore di tuba Jose Devila) vede la luce Mrs. Bubble & Bones,
dove "bones", una comune contrazione di "trombones", allude
anche alle "ossa" di un'orchestrina eccitante ma assai scheletrica
nell'organico.
La normalità delle formazioni strumentali non l'ha mai interessata troppo,
né la
tentazione di rendersi la vita facile. Ma al contrario rende facile al suo pubblico
entusiasmarsi per lei. Bubble fissa una sola condizione: chi assiste alle sue performances,
sovente corredate da proiezioni in super-8 e pronunciate in una confluenza tra
corretta dizione angloamericana, genuino patois svizzero e bolle (bubbles!)
di subcultura dadaista, deve decidere di abbandonare, per una volta, le preferenze
sonore a cui è avvezzo.
|
Erika Stucky |
Le sue raccomandazioni sono di taglio
yankee per il pubblico europeo ("hey guys, have fun!"), mentre
agli americani propone il credo artistico del Vecchio Continente ("che
ne direste di ascoltare e basta, senza preconcetti?").
In cambio, offre una beffarda sintesi tra puro intellettualismo e cabaret estremo,
tra standard di Tin Pan Alley ("I'll See You In My Dreams", "You
Are My Sunshine"), cimeli del juke-box (Aerosmith, Procol Harum) e controverse
invenzioni originali ("Love Hurts", "The Manson Look"). Il
tutto in una ossequiosa simbiosi tra Laurie Anderson, Sissi Perlinger e Pippi
Calzelunghe, con tanto di collant floreali e gonna giallo limone. E, ça
va sans dire, le treccione annodate sotto le orecchie di Mickey Mouse. |
|