Home page

Indietro
:: LINGUAGGI JAZZ 2004 ::

Sabato 13 marzo - Piccolo Regio Puccini ore 21

ERIKA STUCKY Mrs. BUBBLE & BONES
Erika Stucky, voce e fisarmonica
Bertl Mütter, trombone
Jon Sass, tuba
 
Ci si può attendere qualcosa di "normale" da una ragazza di famiglia svizzera tedesca cresciuta a San Francisco nei sixties, baciata dalla cultura Love & Peace e pizzicata dalle provocazioni di Frank Zappa (che tuttora cita regolarmente come influenza decisiva, insieme con la bubble-gum music e i Monkees)? Immaginate un Randy Newman investito da un'autocisterna di Lsd, o Beth Gibbons dei Portishead che improvvisamente opta per una dieta a base di canzoni di Bertolt Brecht virate al lounge, e forse potete cominciare ad inquadrare il "caso" Erika Stucky.
Negli anni Settanta i genitori di Erika riportano la figlia in patria, nel villaggio alpino di Mörel, dove prosperano il folklore delle baite, lo yodel e le albicocche. Invece di trasformarsi in Heidi, Erika se ne va a Parigi. Mentre studia recitazione, coltiva l'intenzione di diventare una cantante jazz professionista. A metà degli Ottanta si ritrova in un gruppo, i Sophisticrats, costituito da quattro cantanti donne e un bassista (Marco Raoult, suo futuro marito). Produce un paio di dischi e crea Bubble Town, progetto musicale che propone in centinaia di città ma che rappresenta una "sua" città, schizzata e immaginaria. Inevitabilmente, a questo punto Frau Stucky-Raoult diventa Mrs. Bubble.
Nel 1997, a Leningrado, in alleanza con gli eminenti trombonisti Ray Anderson e Art Baron (e il suonatore di tuba Jose Devila) vede la luce Mrs. Bubble & Bones, dove "bones", una comune contrazione di "trombones", allude anche alle "ossa" di un'orchestrina eccitante ma assai scheletrica nell'organico.
La normalità delle formazioni strumentali non l'ha mai interessata troppo, né la tentazione di rendersi la vita facile. Ma al contrario rende facile al suo pubblico entusiasmarsi per lei. Bubble fissa una sola condizione: chi assiste alle sue performances, sovente corredate da proiezioni in super-8 e pronunciate in una confluenza tra corretta dizione angloamericana, genuino patois svizzero e bolle (bubbles!) di subcultura dadaista, deve decidere di abbandonare, per una volta, le preferenze sonore a cui è avvezzo.

Erika Stucky

Le sue raccomandazioni sono di taglio yankee per il pubblico europeo ("hey guys, have fun!"), mentre agli americani propone il credo artistico del Vecchio Continente ("che ne direste di ascoltare e basta, senza preconcetti?").
In cambio, offre una beffarda sintesi tra puro intellettualismo e cabaret estremo, tra standard di Tin Pan Alley ("I'll See You In My Dreams", "You Are My Sunshine"), cimeli del juke-box (Aerosmith, Procol Harum) e controverse invenzioni originali ("Love Hurts", "The Manson Look"). Il tutto in una ossequiosa simbiosi tra Laurie Anderson, Sissi Perlinger e Pippi Calzelunghe, con tanto di collant floreali e gonna giallo limone. E, ça va sans dire, le treccione annodate sotto le orecchie di Mickey Mouse.


Indietro