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:: LINGUAGGI JAZZ 2004 ::

Sabato 24 gennaio - Piccolo Regio Puccini ore 21

ELLIOTT SHARP SOLO ACOUSTIC GUITAR
The Velocity Of Hue
Elliott Sharp, chitarra acustica

"Impegnarsi in un set solistico completamente acustico è sempre un rischio per noialtri chitarristi elettrici", avverte Marc Ribot nel commentare l'ultima impresa del formidabile collega Elliott Sharp. Il 53enne musicista di Cleveland è ormai da un quarto di secolo uno dei più impegnati abitanti della scena sonora della Downtown New York.
Spesso calcolatore, analitico, scientifico, Sharp non ha mai tradito la propria visione di sperimentatore totale - conscio del potere della libera espressione (ben aldilà del cliché dell'ambiente "free") scatena un'alluvione fulminante di suoni dalla chitarra e dal sax - oltre che compositore e produttore è un multistrumentista compiuto. È un eclettico senza pari: nell'esplorare la sua discografia sterminata, l'ascoltatore non può essere sicuro a priori di ciò che incontrerà, e neppure, per la verità, del genere di musica affrontato.
I suoi fans appartengono a parecchi mondi. Un jazzofilo da lui si attende musica improvvisata che richiede un ascolto approfondito, l'appassionato di elaborazioni computerizzate troverà (soprattutto nelle varie edizioni del gruppo Carbon) nuovi territori di turbolenza elettronica, il nostalgico del rock progressivo dei '70 scopre che cosa poteva celarsi sotto la superficie che i King Crimsom avevano appena scalfito.
E chi si interessa di blues si accorge che l'artista altrimenti noto come E# si è confrontato con capisaldi come Hubert Sumlòin e Son House, rivelando, con il suo agglomerato Terraplane, legami sotterranei con l'automobile metaforica guidata da Robert Johnson.
Elliott Sharp
Per svariate che siano le sue proposte, Sharp conferisce a tutte la propria impronta. A questo paradigma pluridimensionale non sfugge The Velocity Of Hue, che con l'uso del solo strumento acustico e senza l'ombra di post-produzioni investiga risonanze di natura nobilmente astratta. Le composizioni non costituiscono dei punti di partenza. Piuttosto, le idee melodiche vengono affrontate e risolte nell'esecuzione, che si trova a confronto con le tecniche da adoperare, con i moods da approfondire, con i sentieri da intraprendere. L'assenza strategica obbliga il musicista a inventare, o piuttosto a trovare, la struttura melodica sul momento.
Non stupisce che uno dei chitarristi più incendiari trovi, nell'essenza stessa del suono naturale dello strumento e nelle tentazioni di vari universi paralleli - flamenco, musica classica occidentale, brasiliana, folk - un senso della sottigliezza e delle sfumature sovente sacrificato in formazioni più ampie e fragorose. Qui Elliot non si limita ad affiancare, né a fondere, generi ed espressività tra loro aliene. "La velocità del grido" non è un'operazione di fusion, quanto la scoperta di un luogo sonico di origine comune. Come un joint sperduto nel Delta, dove un allucinato postmoderno trova la cosa più naturale del mondo immergersi in una jam con Blind Willie Johnson o con i cantatori di gola dell'Asia centrale. Un punto d'incontro, o cella di collisione, di tutte le tradizioni a confronto con i limiti e le proprietà di un unico strumento.
"Sono tutte idee forti", conclude Ribot. "Elliott dà loro voce con tecnica e sensibilità sorprendenti".


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