Indietro | LINGUAGGI JAZZ Archivio 2002
-TORINO- |
Sabato 16 febbraio
Piccolo Regio Puccini ore 21.15
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Soprano caldo, luminoso e pieno
di energia, la chicagoana Joan Collaso mantiene alto il profilo della capitale
del canto neroamericano nel terzo millennio. Joan si è esibita al
fianco di grandi personalità jazz (Ramsey Lewis), blues (Sugar Blue)
e soul (Jerry Butler), sintetizzando i tre fondamentali filoni del canto
della tradizione, passata e recente, di quella che turisti e residenti chiamano
la Windy City. Scintillante creatura da palcoscenico, ha portato a casa
un Emmy Award per un musical, Precious Memories, Strolling 47th Street,
che documenta la scena canora del South Side di Chicago a metà del
Novecento, ed è stata ripetutamente invitata in Giappone e al prestigioso
North Sea Jazz Festival dell'Aja. Non che sia estranea a prestigiose collaborazioni
"crossover": c'è una sua apparizione in Soul Food, il film
di successo prodotto da Kenny "Babyface" Edmonds, è stata
corista per Celine Dion e per la superstar concittadina R.Kelly e parecchie
campagne commerciali radiotelevisive hanno avuto la sua voce mobile e sensuale
come testimonial. Incurante della disputa su chi è o non è un cantante jazz, Joan ha indiscutibili credenziali "di razza" da esibire. Il suo swing, che è stato accostato a quello di un'amaca durante un uragano, conferisce un'impronta indelebile ai testi delle canzoni interpretate. Si appropria dello spirito più che della lettera dei brani, magari smorzando le venerabili partiture di "Night in Tunisia" o "Round Midnight", agganciando la "Moondance" di Van Morrison a "Summertime" o addirittura osando "What A Difference A Day Makes" senza neppure un alone di Dinah Washington nella voce. "Ho sempre vissuto nella musica", ricorda la Collaso, che ha iniziato a cantare da bambina nel coro di chiesa e poi si è perfezionata alle Università di Virginia Union e Roosevelt. "Quand'ero piccola, mio padre ascoltava Nancy Wilson e Billie Holiday, Oscar Brown, Jr e Blood Sweat & Tears. Un bel miscuglio, che è servito a mettere insieme una compilazione della mia esperienza". La accompagna un trio estremamente versatile e affiatato, diretto dal pianista Larry Hanks, con cui ha inciso tre album. In particolare, nel recente New Day Joan punta con grazia, intelligenza e dinamismo verso gli orizzonti più ambiziosi per un jazz singer: quelli dell'arduo territorio degli standard, repertori che il pubblico già conosce e che ha amato in qualche versione precedente, dove il confronto è inevitabile e spesso rivelatore. Ma quali che siano gli autori, le regioni espressive o i mood prescelti, Joan è in grado di espugnare vecchie roccaforti ("Everyday I Have The Blues", "Hallelujah I Love Him So" e "Don't Get Around Much Anymore") e scoprire nuove tenerezze a ballads come "At Last": la straordinaria originalità delle sue letture le assicura il diritto acquisito di appartenenza alla scuola delle grandi interpreti jazz. |
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