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:: LINGUAGGI JAZZ 2005 ::

Sabato 5 marzo  ore 21, Piccolo Regio Puccini

BOJAN ZULFIKARPASIC 
Solobsession


Bojan Zulfikarpasic, pianoforte


Foto: J.M.Lubrano
Nato a Belgrado nel 1968 da famiglia in parte bosniaca, Bojan Zulfikarpasic si è avvicinato precocemente al pianoforte. Da adolescente faceva già parte della scena jazz cittadina; la sua formazione ebbe uno sviluppo significativo durante la permanenza americana del 1986, grazie ad una borsa di studio, al Blue Lake Fine Arts Camp, dove si perfezionò alla scuola di Clare Fisher ("aveva una personalità pianistica pari a quella di Bill Evans"). Fu invitato a restare da quelle parti, ma lo sperduto Midwest non faceva per lui, troppo europeo per vivere in un paesino del Michigan.
Al ritorno in patria lo attende il servizio militare, che svolge come direttore d'orchestra. Un'esperienza non trascurabile, che gli fa scoprire i segreti della musica folk balcanica; un obbligo, se la missione consisteva nell'allietare le serate al Circolo Ufficiali. Da allora le canzoni popolari della ex Jugoslavia (Serbia, Bosnia, Macedonia, senza distinzioni) entrano definitivamente nel suo vocabolario musicale, sia nelle atmosfere (il gusto per le melodie cantabili, per i cromatismi e per i tempi ternari) che nelle citazioni dirette e nelle reinterpretazioni.
Nel 1988 si stabilisce a Parigi, dove comincia una attività serrata a contatto con le promesse del jazz francese, e il nome di Zulfikarpasic, ancorché difficilmente pronunciabile, comincia a diffondersi tra gli addetti ai lavori.
Di lui si accorgerà il contrabbassista Henri Texier che lo recluterà nel proprio Azur Quintet (in cui Bojan è tuttora pianista titolare) per la realizzazione dell'album An Indian's Week.

L'esordio discografico come leader avviene nel 1993 con Bojan Z Quartet, su Label Bleu, seguito da Yopla!, interessante incontro tra le proprie inflessioni slave e la virtuosità del turco Kudsi Erguner, suonatore del ney, un tradizionale flauto in legno che procede per quarti di tono. Il più compiuto e avventuroso esperimento multiculturale è Koreni ("radici"), del 1999, a cui partecipano musicisti di orizzonti diversi, tra cui il percussionista algerino Karim Ziad, il rocker macedone Vlatko Stefanovski e un paio di bassisti, Predrad Revisin e Vojin Draskoci, vecchi amici degli anni di Belgrado.

Il marchio di Z è ormai affermato. Altre pregevoli prove seguiranno; il suo talento solista è documentato nel limpido, introspettivo Solobsession; il recente, lodatissimo Transpacifik, inciso a Brooklyn con una ritmica statunitense, rappresenta invece la propria definizione di un trio. Nel frattempo ha ricevuto importanti riconoscimenti istituzionali: nel 2002 è stato musicista dell'anno secondo l'Académie du Jazz e il governo francese gli ha attribuito il titolo di cavaliere dell'Ordine delle Arti e della Letteratura.
È in eloquente solitudine che appare a Torino, con una concezione del jazz che coniuga ardite variazioni sui tempi dispari con la sottigliezza di un McCoy Tyner o di un Winton Kelly, un'esuberanza percussiva di marca gitana, che include trasfigurazioni di ninne nanne bulgare o di temi bop o free, e una comunicatività ritmica, poetica e melodica definitivamente e unicamente sua.

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